Antonino Cannavacciuolo e la storia di violenza: “Tornavo a casa con le braccia blu”. Il popolare chef napoletano svela un retroscena della sua adolescenza
Ha al suo attivo ben cinque Stelle Michelin e tre Forchette della guida del Gambero Rosso. E’ senza alcun dubbio uno degli chef/personaggi televisivi più amati e apprezzati. Per il suo indiscutibile talento sicuramente, ma anche per il suo particolare senso dell’umorismo. Stiamo parlando, per chi non l’avesse ancora capito, di Antonino Cannavacciuolo, quarantasei anni originario di Vico Equense, un piccolo comune della Città metropolitana di Napoli. Lo straordinario successo e la conseguente popolarità acquisita sono il frutto di sacrifici enormi e di una passione viscerale che Cannavacciuolo ha coltivato e portato avanti nel corso degli anni.
Del popolare chef partenopeo tutto si può dire tranne che non si sia fatto da solo. Ha cominciato come ragazzo di bottega poco più che adolescente per poi accumulare esperienza lavorando nel ristorante del Grand Hotel Quisisana di Capri nel periodo in cui la cucina era sotto la diretta consulenza del grande gastronomo italiano Gualtiero Marchesi. La sua travolgente crescita professionale procede quasi di pari passo con l’ingresso in grande stile nel mondo dello spettacolo. Nel 2013 Cannavacciuolo fa il suo esordio sul piccolo schermo con il programma Cucine da incubo. Il grande successo ottenuto gli spiana la strada per il ruolo di giudice, dal 2015, del popolarissimo talent show culinario MasterChef Italia.
Intanto, si trasferisce in Piemonte dove apre due locali diventati luogo di culto per gli amanti della buona cucina: il Cannavacciuolo Café & Bistrot a Novara e il
Antonino Cannavacciuolo, il triste retroscena: “A 13 anni venni picchiato duramente da un cuoco”
Poco tempo fa Cannavacciuolo ha svelato un triste e sgradevole retroscena del periodo in cui da adolescente aveva iniziato a lavorare nelle cucine di un ristorante: “Sono andato a lavorare in cucina a 13 anni e mezzo. La notte tornavo a casa con spalle e braccia blu per le mazzate che mi rifilava uno chef. Mia mamma voleva protestare, ma mio padre disse: ‘Se gliele ha date, significa che se le meritava’. Ora quello chef lo arresterebbero per maltrattamenti. A me è servito molto. Da ragazzino – prosegue nel suo racconto lo chef partenopeo – mi veniva la febbre per la fatica, e mio padre mi mandava a dormire in macchina. Solo una volta mi portò in ospedale perché avevo le gambe gonfie appunto come prosciutti”.